L'infinito
Sono giorni di leggera malinconia. Anche il cielo piange. E mi sembra che l'aria sia pervasa dalla tristezza cosmica di Leopardi. Affascina come questo autore affogava la sua tristezza (e diciamolo anche un po' di sfiga) tra versi e rime. Me lo ritrovo addosso, accanto, di fronte. E mi sorride mesto. Generazioni di studenti hanno immaginato quella collinetta solitaria ed il pensoso poeta intento ad osservare di la' da quella... ma io immagino che la piccola collina possa avere un altro nome, e allora provo a chiamarla Monte di Venere. Cosi' la prospettiva muta, si trasforma, e' tutt'altra... piu' dolce, intima, sommessa. Piu' seducente. Ancora tutto quadra e le parole sono ancora piu' belle nel loro nuovo significato, a formare un quadro semplice e toccante come un Caravaggio.
E questo mi pervade, mi scalda, mi avvolge. E la tristezza diventa miele sulle labbra... sulla pelle...
Sempre caro mi fu quest'ermo colle,
e questa siepe, che da tanta parte
de l'ultimo orizzonte il guardo esclude.
Ma sedendo e mirando, interminato
spazio di là da quella, e sovrumani
silenzi, e profondissima quiete
io nel pensier mi fingo, ove per poco
il cor non si spaura. E come il vento
odo stormir tra queste piante, io quello
infinito silenzio a questa voce
vo comparando: e mi sovvien l'eterno,
e le morte stagioni, e la presente
e viva, e 'l suon di lei. Così tra questa
infinità s'annega il pensier mio:
E 'l naufragar m'è dolce in questo mare.