mercoledì 27 luglio 2005

Un altro  raccontino nuovo nuovo


C'e musica in questo pomeriggio d'agosto nella assolata piazza centrale. La band dispensa jazz indolente, sinuoso, che avvolgente si insinua nelle fessure, scorre tra la pavimentazione di pietra ed arriva a riempirmi il bicchiere. Delle poche anime oltre la mia ad assaporare questo confuso cocktail ognuna è un sorriso a seguire la ritmica che si attorciglia su se stessa.
Anch'io sono un sorriso che si allarga sotto un paio di occhiali da sole che celano il mio sguardo mentre si incrocia con quello del sassofono tenore altrettanto celato. Entrambi sappiamo che ci stiamo osservando, nascostamente da lontano, in un gioco divertente e crudele che dura da tanto, troppo tempo. Entrambi sappiamo e rimaniamo ognuno diligentemente al proprio posto fino alla fine, fino a quando anche l'ultima nota, l'ultima goccia di suono finisce di vibrare nell'aria.
E' questo il momento, l'attimo per passare dall'indolenza all'azione. Il sassofono viene riposto delicatamente nella custodia con attenzione infinita, unico vero amore al quale il musicista rimarrà per sempre fedele. Ancora nella retina mi e' rimasto il riflesso lucente dell'ottone mentre, con lento incedere, il sassofonista già si dirige verso di me.
E' un tuffo al cuore e nel tempo che mi riporta a dodici anni fa. Ancora e sempre intatta la stessa sensazione persistente sotto pelle. E' vicino e non intendo ricambiare lo sguardo attraverso lenti scure, questa volta voglio vederlo in tutti i suoi colori e non mi sbaglio. Tra noi poche e futili parole a fronte di grandi silenzi carichi di significato, di comprensione e di ricordi condivisi e spezzati anzitempo.
Esattamente come la mia mente lo ricorda, i suoi occhi azzurri nei miei, la carnagione abbronzata, l'unica persona capace di indossare jeans e camicia a maniche lunghe nel bel mezzo del mese di agosto. Non so cosa pensa mentre mi guarda ma so che il mondo intorno sparisce, sbiadito come un banale acquarello, io e lui uniche forme ancora integre ed intatte, legate dal misterioso filo che ci unisce inspiegabilmente da quando una sera come tante, per la prima volta, il pubblico svanisce e solo il suono tenore del sax attraversa magicamente la sala.
So che ho poco tempo per dirgli parole che non escono dalla mia bocca e per non sentire le sue diventante negli anni ormai trasparenti. Poco tempo per l'impensabile azione di sentire ancora una volta al tatto la sua pelle.
Il campanile rintocca il conto alla rovescia ed infine nel silenzio riprendo il respiro e sorrido dicendogli che e' ora di cena, l'ora di tornare dalla propria moglie.
Ci salutiamo avvicinandoci l'uno all'altra ed ancora il suo profumo persiste nell'aria mentre già si allontana. Lo riconosco, e' ancora, sempre, lo stesso di dodici anni fa.

domenica 24 luglio 2005

Un raccontino


Odore pesante e oleoso che si sente in tutte le stazioni. Accarezza i capelli, si ferma sui vestiti, persistente e invisibile rimane sulla pelle e ci ricopre come fossimo parte integrante della banchina. In mezzo alla moltitudine anche io sto lì, dondolando prima su un piede poi sull’altro in una strana dimensione che non è silenzio ma neppure rumore indistinto. È piuttosto rumore organizzato, sempre uguale ad ogni partenza ed arrivo di un treno, lontano, vicino, voci sovrapposte.
Continuo ad oscillare il mio peso, abbozzo due passi, mi volto ancora a guardare l’orologio sul muro. Poggiato all’enorme pilastro di pietra c'è un ragazzo, che fuma.
“Ritardo: 5’”, sospiro sperando che non si moltiplichi e mi sposto di lato trovandomi a ridosso di una panchina di marmo dall’aria gelida anche nel mese di giugno. Un cane mi guarda, forse abbiamo lo stesso stato d’animo, l’attesa, e di nuovo abbassa il muso sulle zampe anteriori, quasi mi metto a uggiolare al suo posto. Ed invece raddrizzo la schiena, allungando le braccia, illudendomi di poter prendere l’iniziativa e finalmente partire.
“Il treno num.. prov…ente da TO-RI-NO POR-TA SU-SA per MI-LA-NO CEN-TRA-LE è in arr.. al binario tre”. La voce registrata mi coglie all’improvviso dal troppo aspettare ed un neonato comincia a frignare con ovvio tempismo. Non importa, è il nostro treno, ci siamo, e la banchina è davvero colma di gente che si allunga per tutto il marciapiede senza oltrepassare la linea gialla.
Salire è un’impresa, trovare posto poi è quasi impensabile in ogni orario di un qualsiasi giorno lavorativo, ma oggi è sabato. Ci si accalca comunque, ma trovo un cantuccio dove accoccolarmi per i prossimi cinquanta minuti a leggere, a sonnecchiare, ad incontrar qualcuno o a guardare l’impasto di colori che scappano indietro veloci, chissà.
Il treno è partito da appena dieci minuti che un ragazzo seduto poco più in là si alza, si allontana, rallenta, si volta, prosegue, si ferma e torna indietro titubante. Con aria accigliata allunga lo sguardo sul fondo del vagone appoggiandosi ai sedili per controbilanciare l’andatura barcollante del treno su cui stiamo. Ancora qualche passo, mi si affianca, io lo guardo e lui chiede: “Scusa, sai dov’è il bagno?”. Glielo indico e prosegue senza esitazioni.
Dunque, stavo allungando le gambe e decidendo se prendere il libro che ho con me o piuttosto rimanere nel dolce far niente. Forse deciderò di godermi la sospensione di tempo tra l’essere partiti e non ancora arrivati, una sorta di oblio personale e tascabile. Un momento di pausa mentale, che non è riposo ma neanche riflessione. È solo il “niente”, è come il gioco di trattenere il respiro. Mi sento così…
“hola segnorita, que pasa?”. Esplode una bolla.
Lo sguardo accigliato sul fondo del vagone ha lasciato il campo ad un sorriso smagliante. Incrocio due occhi mori come la capigliatura, la carnagione ed il temperamento.
Sorrido divertita e rispondo: “Bene… hai trovato il bagno?”.
“Sì, è bastato chiedere, no?”
Con un nulla ci mettiamo a parlare. Gentilmente chiede se può sedersi di fronte a me. Indovino la sua origine messicana invece che spagnola. Lo trovo frizzante, è aria fresca nell’atmosfera stantia di un treno che viaggia sotto il sole. A lui piacciono i miei occhi e me lo dice, fa un po’ lo svenuto, per scherzo oppure no risulta simpatico. Viene da Città del Messico e me ne racconta. Dice che ha studiato per fare la guerra, lo immagino con una divisa da soldato o chissà, ma eccolo a Milano a cercare, trovare un lavoro.
E parliamo, ridiamo e mi ritrovo in un altro posto, in un'altra vita e vedo le stesse cose in un altro modo.
Il treno viaggia e il nostro tempo è contato: cinquanta minuti. Passiamo Novara, Magenta, arriviamo a Rho. Tra dieci minuti saremo a Milano senza più tempo.
Mi guarda e gli piacciono i miei occhi. Sa ballare la pachanga ed io sono una ballerina di tip tap.
Ma quale piccola magia fa incontrare su un treno due persone così simili e diverse?
Stazione centrale, ventitré binari, una moltitudine di passeggeri.
Scendiamo e ci confondiamo tra la gente, due come tanti, ci fermiamo dove non c'è troppo via vai, mi chiede un numero di telefono che non gli do.
Gli porgo invece la mano, la prende e la bacia e come accade quando già le situazioni sono più che singolari, il destino decide di spingerle all’assurdo. Si avvicina un signore distinto e ci impartisce una sintetica lezione sulle regole del baciamano. Poi se ne va via di fretta, a prendere un treno.
Luìs mi guarda, sorride, chiede se può abbracciarmi: sì, può.
E poi anche lui se ne va.

mercoledì 20 luglio 2005

Blog? Si’, grazie!

Inizialmente pensavo che scrivere su un blog fosse una cosa stupida… ho sempre tenuto un diario… piu’ diari fatti di molte frammentazioni e lunghi periodi di silenzio. Un diario e’ qualcosa di infinitamente personale, un posto dove davvero si mettono a nudo le debolezze, i lati peggiori, i momenti piu’ neri… un blog invece rimane una sorta di via di mezzo tra la finzione della realta’ quotidiana e la verita’ piu’ profonda di noi stessi che (almeno io) voglio rimanga discretamente privata… e quindi? Quindi dato che i compromessi non mi piacciono un granche’ ammetto di aver pensato che scrivere su un blog fosse una cosa stupida. Ma questo “compromesso” ha finito per conquistarmi e continua a farlo di giorno in giono. Pensare che qualcuno possa leggere e’ da una parte una limitazione ma fornisce anche un giusto equilibrio a cio’ che si puo’ scrivere (anche per un velato senso di riservatezza per la propria intimita’). Trovo stimolante leggere commenti di qualcuno che mi sembra di vedere annuire riconoscendo sensazioni, malesseri, stati d’animo comuni. E’ ugualmente stimolante leggere commenti magari di qualcuno poco in sintonia… perche’ fa riflettere, fa tornare un attimo coni piedi saldi alla terra, impedisce in qualche modo di lasciarsi andare alla deriva, in qualche modo fa sentire che esistiamo, qualcuno legge, scrive, ascolta.
Si instaura un confronto, si entra nella vita di qualcun altro pur non sapendone quasi nulla. In quali altre occasioni questo e’ possibile? Al di la’ del video… dei pixel… degli impulsi che attraversano le fibre ottiche c’e’ comunque una persona vera ed esistente, che ha la propria vita, i propri problemi e sicuramente (come tutti) poco tempo, ma trova il tempo per dedicare un commento, un abbraccio, un sorriso.
Come potrei non trovarlo emozionante?

giovedì 14 luglio 2005

Una volta un amico mi ha chiesto di cosa avessi paura… me lo ha chiesto parecchio tempo fa e ho continuato a snocciolargli una tiritera della quale comunque ero davvero convinta.
Ora so (o almeno comincio a sapere) che davvero ho paura… Paura non tanto di morire ma di rimanere in quella sorta di meta’ strada vegetativa e ahime’ cosciente della propria condizione. Ho paura di non poter piu’ fare cose che mi danno gioia e sono parte di cio’ che sono. Ho paura di non poter piu’ esprimere me stessa attraverso il mio corpo. Ho una gran paura di non saper amare e non sapermi fidare piu’ di nessuno . Credo di cercare (e riuscire) ad allontanare le persone, cosi’ da non rischiare di vedere che in realta’ non mi amavano e probabilmente non mi avevano mai amato. Ho veramente paura di rimanere sola con me stessa e guardandomi in faccia vedere tutti i miei difetti. Ho paura che non riusciro’ mai a chiedere scusa e dire ti voglio bene a tutti quelli a cui tengo di piu’ al mondo fino a che non sara’ troppo tardi. Ho paura di perdere coloro che amo e di rimanere da sola.
Lupi!

Lo spirito di una donna


Da lontano
ogni giorno
ti osservo.
I tuoi umori
e colori
con i miei,
costretti
convivono.

Prigioniera a volte mi appari
di un’armatura invisibile.
Enigmatica e volubile
come foglie battute dal vento.

So che se vuoi
puoi conquistare radici,
unirti alla terra
che nutre ed appaga.
Di stupore
riempire il tuo viso
scoprendo la luce profonda
di un’anima
così varia e inattesa,
che rifiuta la placida quiete,
ed è lì che ti attende
e pretende,
di rimanere destata.


                            Silk

domenica 10 luglio 2005

Chi ha paura del lupo cattivo?

E mi sembra che di questi tempi di lupi in giro ce ne siano parecchi.
Lupi da cui difendersi a livello sociale e lupi da riconoscere fuori e dentro di noi.
Vorrei evitare facili e banali commenti sui fatti successi a Londra, evitare commenti su cio’ che e’ giusto e sbagliato, su cosa sia l’orrore, per quanto tante riflessioni si impongano nella mia mente. Per un po’ avremo tutti paura l’uno dell’altro, qualunque sia la religione e qualunque sia la cultura perche’ ogni volta che accadono avvenimenti di questo genere, l’intelletto globale viene minato nel lento e difficile percorso che dovrebbe portare a capire, a tollerare e a convivere apprezzando la bellezza della diversita’.
Poi ci sonoi lupi che ci mordono dentro e che sono ancora piu’ difficili da vedere e da stanare.
Sono in attesa, ti guardano con occhi attenti, e si chiamano Tristezza, Solitudine, Incomprensione, Stanchezza… sono lupi che in questo ultimo periodo mi sento veramente alle calcagna, che ogni tanto mi raggiungono ed ogni tanto lascio indietro. Una piccola vittoria e una piccola sconfitta, ma non sempre purtroppo il rapporto e’ uno a uno.
Fanno paura… mi fanno paura… e ogni tanto mi sembra davvero di soccombere…
Ma ho imparato a perdere con loro, vincere e’ impossibile, perche’ richiederebbe un atto di sopraffazione che e’ una delle loro armi, non la mia.
Allora sorrido, allargo le braccia e mi dico “ok, sono qui, lasciati prendere…accetta quel che viene…” e a volte piango pensando che la fine e’ vicina ed invece mi addormento e vedo una nuova alba, un nuovo giorno che si affaccia alla finestra… e i lupi sono incredibilmente lontani da me.
E’ un esercizio estenuante, non ho poi molta scelta ma i lupi non hanno armi contro chi decide di essere sopraffatto e di perdere tutte le volte contro se stesso.
Ecco la mia piccola vittoria fino alla prossima battaglia ricordando una vecchia canzone che diceva: “Chi non ha paura di morire, muore una volta sola”.